Sono passati 2 anni da quando abbiamo lasciato i nostri lavori e abbiamo capito una cosa: non è il lavoro il problema. O meglio: i problemi legati alla nostra società consumistica e iperveloce non si risolvono (solo) lasciando il lavoro, perchè certe dinamiche ce le portiamo dentro in quanto membri di questa società.

Ora che possiamo trarre qualche conclusione, ti dico cosa ci ha portato l’assenza di un lavoro classico:

  • Più tempo
    Banalmente, avere più tempo a disposizione è la prima cosa che succede ed è la più preziosa. All’inizio disorienta, stai con il piede sull’acceleratore e fatichi a capire che non serve più quella modalità. I primi giorni/mesi sono stranissimi e ci vuole tempo, appunto, per capire come gestire diversamente le tue giornate. Poi però si apre la possibilità per qualsiasi cosa ti venga in mente. Il maggiore tempo a disposizione genera a sua volta due cose:
  • Più relazione in famiglia
    Per quanto riguarda le relazioni in generale, sfato subito un mito: per riuscire a vedere gli amici che non vedi mai, ci vuole un’organizzazione degna di un project manager.
    Per questo motivo ho specificato “in famiglia”: in pratica le relazioni che hai a portata di mano godono di maggiore tempo, ma quelle per cui devi organizzarti, a parte 2-3 exploit ed entusiasmi iniziali, nel tempo faticano comunque a svilupparsi.
    Questo sia perchè, come spiego più avanti, avere più tempo a disposizione non vuol dire avercelo per davvero e sia perchè gli altri di solito sono ancora invischiati nel sistema da cui tu sei appena uscito.
  • Cose vitali che ti appartengono da sempre e non ricordavi più
    Nel mio caso c’ho messo quasi 2 anni a “tornare a me”. Mi sono accorta che per (soprav)vivere avevo messo da parte molte cose non funzionali ad una persona inserita in società, con un lavoro più che dignitoso, con un progetto da avviare, ecc.
    Nel momento in cui certe esigenze ‘pubbliche’ vengono meno, lentamente riaffiorano vecchie passioni e vecchi lussi che ci concedevamo. Mi sono ritrovata con i miei vecchi libri di filosofia in mano (ultima data pervenuta: avevo 14 anni?) ad annuire con la testa e a sorridere come una scema. E a dirmi: perchè non l’ho fatto prima??

Ciò che invece non mi aspettavo::

  • Non va via l’ansia da prestazione
    Anche avendo tempo in più in abbondanza, la sensazione è sempre quella di non fare abbastanza (su qualsiasi piano: produttivo, personale, relazionale, ecc).
  • Non dedichi più tempo alle amicizie
    come ti accennavo, anche con più tempo a disposizione, non riesci facilmente ad incontrare le persone che vorresti. Questo perchè come dice Rupi Kaur nella poesia Nostalgia Amicale:
    ora abbiamo l’importantissimo lavoro
    che ci occupa la pienissima agenda
    confrontiamo i calendari per fissare un semplice caffè
    che poi uno dei due annullerà
    perchè la vita adulta sta nell’essere
    quasi sempre troppo sfiniti
    per uscire dall’appartamento“Ma anche perchè come dice la legge di Parkinson, qualsiasi sia il tempo che hai a disposizione lo riempirai comunque di cose che DEVI fare, indipendentemente da quanto tempo ti occorrerebbe in realtà.
  • Perdi l’identità
    Mi aspettavo che lasciando un certo tipo di lavoro, avrei perso il mio status sociale. Siamo cresciuti con l’idea che fare il professore fosse più dignitoso di fare il meccanico (anche se più vado avanti e più vorrei che mio figlio facesse l’elettricista piuttosto che lo scienziato), per cui non essendo più una informatica-marketer-consulente, avrei ‘perso appeal’ agli occhi di alcune persone. Mi stava bene, dicevo “non può essere il lavoro a definirci”. Mi sbagliavo.
    Lo status sociale non l’ho perso. Frequento le persone di prima, i posti di prima, vivo le stesse dinamiche. Quindi lo status sociale in Italia, ho scoperto, è dato in realtà dalla famiglia in cui sei cresciuto.
    Ciò che però perde assolutamente i suoi confini è la tua identità: non il giudizio degli altri, ma la tua percezione di chi sei. Il nostro essere, il nostro agire, si definisce nel confronto con gli altri, ci specchiamo negli occhi dell’altro. Se non agiamo per e con gli altri, in qualche modo, non esistiamo (il discorso è lungo, scrivimi se vuoi approfondirlo).

Quindi lasciare il lavoro (che non ti soddisfa, che non ti lascia tempo per vivere la vita che vorresti) non è la soluzione.
E’ sicuramente il primo passo, però.
La condizione senza cui non può iniziare nulla di diverso.

Se non comprometti la tua identità non puoi essere disposto ad accettarne una diversa, se non ti accorgi che non è il tempo a tenerti lontano dai tuoi amici puoi finalmente attivarti per costruirti la vita che vuoi.

Sull’ansia da prestazione per me è sempre più evidente che ci si deve lavorare a livello di comunità.
Quello che ci vuole è una svolta nel pensiero.
E non solo il proprio, ma anche quello delle persone che ci circondano.
E te ne parlerò un’altra volta : )