Nel caos generato dalla pandemia, io, Guido e nostro figlio abbiamo vissuto al Peromelo per portare avanti i lavori e abbiamo dormito in yurta per 3 mesi.
Ho pensato fosse l’occasione perfetta per testare l’effettiva abitabilità della yurta, visto che fino ad ora ci avevamo dormito solo 3-4 notti di fila.
La yurta, pur essendo di fatto una tenda, è la casa tradizionale mongola, quindi confidavo nel suo comfort e nella sua grande accoglienza.

Non finirò mai di stupirmi di quanto il fatto che sia tonda cambi notevolmente la percezione dello spazio e in un certo senso lo renda infinito, ma la sua caratteristica più importante credo sia …la Magia.
Non c’è stata sera, per 3 mesi, che io non mi sia sentita fortunatissima a poter dormire sotto quel rosone decorato e puntato verso il cielo.
E non c’è stata mattina che non mi sia svegliata profondamente grata per il grandioso concerto di cinguettii che sembrava entrare dentro la tenda (a differenza del Cubetto, dalle mura in mattoni, in cui i cinguettii sono appena percepibili).

La sua Magia ci ha salvati anche perché appena arrivati al Peromelo ha piovuto a dirotto per una settimana, quindi non è stato possibile uscire se non per pochi minuti ogni giorno. E stare in tre, con un bimbo di 4 anni, in 27 metri quadri poteva trasformarsi in un’esperienza molto stressante. Invece ce la siamo cavata alla grande, in pace e armonia, anche grazie ai due finestroni – molto poco mongoli, secondo me, ma molto funzionali alla nostra sensibilità occidentale – che davano sul verde del Peromelo.

Credo che la yurta sia il perfetto incontro tra il comfort di una casetta e l’ebrezza del campeggio: concludere le giornate sulle poltroncine fuori dalla porta, sotto la luce della luna e delle stelle, con i piedi sull’erba, sapendo di avere alle spalle una camera super confortevole ad attenderti, è il massimo.

Ho scoperto che l’essere spartani regala la più grande delle libertà.

D’altro canto, anche la yurta ha quei tipici ‘fastidi’ da campeggio, come ritrovarsi sul comodino un grillo che canta in solitaria (ma in un ambiente chiuso fa per cento!!) o le formiche che si fanno un giretto turistico, in tondo, sul perimetro della yurta.

Questo per ricordare che la yurta è sempre una tenda, non è una corazza, un fortino, in cui richiudersi e dimenticare cosa c’è fuori – come le nostre case in città.
Non approvo questa recente moda della yurta glamping, dotata di tutti i mobili, elettrodomestici, oggetti e accessori vari, al pari se non di più di una stanza d’albergo. Non ne abbiamo bisogno, se fuori c’è la Natura, anzi distraggono, creano barriere con l’esterno.

La yurta ha un rapporto aperto e intenso con l’esterno, è un peccato sprecare questo privilegio.
Anzi, in questo credo risieda proprio il bello di un’esperienza del genere: la yurta ti rimette in circolo, all’interno di un ambiente di cui fai parte TANTO QUANTO gli altri animali e le piante che ti circondano.

Ecco forse il messaggio che mi è arrivato più chiaro, da questi tre mesi in yurta, è stato: bentornata nell’ambiente originario, questo è il tuo – meraviglioso e mai scontato – posto nel mondo.

Che dici, ci passeresti una notte?