Un giorno, all’università, il mio professore di Sanscrito entra in classe e butta lì una frase che potrei riassumere così:
“Nel pensiero greco c’è la conoscenza per la conoscenza (cioè che ha come fine ultimo la conoscenza), nel pensiero indiano c’è la conoscenza per la felicità.”

Per dirla con Galimberti:
“E se “filo-sofia” non volesse dire “amore della saggezza” ma “saggezza dell’amore” […]? Perché in Occidente la filosofia si è strutturata come una logica che formalizza il reale, sottraendosi al mondo della vita, per rinchiudersi nelle università dove, tra iniziati si trasmette da maestro a discepolo un sapere che non ha nessun impatto sull’esistenza e sul modo di condurla?”

BAM!
Ribaltamento copernicano: al di là del piacere sottile di sapere di sapere, tutto ciò che impariamo ci serve ad essere più felici?
Ci avvicina almeno di un passo alla felicità (che non è il successo, che magari non è la realizzazione personale, che non corrisponde sempre a fare la cosa giusta, ecc)?

Per me che vogliosaperesempretutto, che da piccola ho deciso che avrei conquistato il mondo a forza di libri letti e “cose capite” (a 9 anni volevo scrivere l’Enciclopedia…), è stata una liberazione!

Ora che siamo schiacciati da una mole enorme di informazioni, che facciamo a gara a chi fa più corsi, a chi è più preparato, a chi ha più titoli, per un accumulo senza fine, fa la differenza selezionare tutto in base a ciò che davvero ti fa stare bene e ti avvicina un passo in più verso la felicità.

E giro la domanda a te: cosa ti guida? la tua felicità oppure altri traguardi che sembrano coincidere con la felicità ma sotto sotto portano ad altro?