Ho lavorato 11 anni in smart working, fino al 2018. Allora si diceva semplicemente “lavorare da casa” e l’ho sempre ritenuto un privilegio.
Poi ad un certo punto, dello schermo non ne potevo più.
Ho iniziato a sentirmi “inumana” a parlare con (la voce di un collega dentro) una macchina per tutto quel tempo.
Mi sembrava innaturale, surreale, ridicolo.
Sentivo che quella modalità non era compatibile con la vita di un animale, quale noi siamo.
Sì, era comodo, ma era finto. Non si può fingere per tutta la vita.

Fingere di stare parlando con una persona, ma non ce l’hai davanti in carne ed ossa.
Fingere di vivere nel pianeta Terra, ma frequenti solo la tua scrivania 8 ore al giorno 5 giorni su 7.
Fingere di essere contento o arrabbiato o deluso, ma davanti hai solo finestre del browser, email e chat di gruppo.
Non è vita, mi sono detta.

No, io voglio godere delle cose che mi sono state donate “per natura”.
Voglio un ambiente non artificiale, fatto di terra, piante, cielo, sole in faccia, nuvole, vento.
Voglio umani intorno a me.
Voci, suoni REALI, non mediati da una macchina. Facce, espressioni, accadimenti fisici.
Basta col virtuale, col cognitivo, con le ipotesi e l’immaginazione. Voglio che la vita mi accada intorno.

Anche se il mondo sta andando esattamente nella direzione che ho mollato qualche anno fa, io credo che sia solo una falsa pista, un’illusione: la digitalizzazione verrà realizzata, ma non ha la sostanza per potersi chiamare Vita e prima o poi ce ne accorgeremo e dovremo fare, in piccolo o in grande, marcia indietro.

Per quel giorno il Peromelo sarà pronto, perché stiamo lavorando solo per averti in presenza (proprio io che di mestiere creavo ambienti virtuali…), per condividere dal vivo, insieme, cose reali (e che esistevano prima dell’avvento dell’elettricità!).
Certi che questa e questa soltanto sia la via possibile per l’umanità.