Gennaio. Tutti parlano di buoni propositi e obiettivi per l’anno nuovo. Aumentano consulenti e lifecoach. Fioccano corsi su genitorialità e laboratori per bambini creativi (che devono essere sempre più speciali). Dappertutto strumenti per essere più ambientalisti, più inclusivi, più felici, più meglio. Tutto ti grida che forse non sei all’altezza e che puoi esserlo SE.

Ma io credo che, se a volte tentenniamo, è perché è il mondo che s’è fatto incerto (ben prima del covid, ma ora è palese), non perché non siamo abbastanza in gamba.
Anche se proposti come valori positivi, cercare di essere una madre migliore o di avere una vita sostenibile ormai ricadono sotto standard altissimi della società della performance: siamo bersagliati da messaggi che ci spronano ad essere “di più” (ed uscire dalla benedetta comfort zone, che, ok, sono d’accordo, però pure basta).
Anche se portiamo avanti tutti i compiti della giornata, anche se lavoriamo, anche se i nostri figli stanno bene, dentro sentiamo che è tutto disallineato, scomposto, un po’ incomprensibile. Una sensazione di galleggiamento e sospensione perpetui. Anche senza tv, vita mondana, social network e gruppi Whatsapp, la pressione sociale che ti spinge a voler fare di più arriva lo stesso.
Perché ormai siamo intrisi di quest’ansia da prestazione.

Nella prima quarantena pareva che dovessimo diventare tutti più colti: corsi, documentari, ebook, webinar, video tutorial, workshop, tutto per non sprecare nemmeno un minuto del tempo a disposizione, visto che ci era stato dato ‘gratis’. Adesso mi sembra che ci sia chiesto di sorreggere interamente il peso del futuro incerto che ci attende. Sicuramente tocca a noi occuparci del nostro futuro (non al destino, non ai politici, non alle aziende farmaceutiche), ma nessuno può farcela in uno stato d’ansia e d’angoscia.

Dobbiamo trovare il modo di farci del bene, per ricaricarci, per dare il meglio, per essere più forti, ma pure perché siamo umani e ad un certo punto ci rompiamo.
E secondo me una cosa possiamo farla: darci tregua.

Proprio ora? Sì, sembra controintuitivo, ma dare di più quando le condizioni peggiorano è il mito del supereroe: (se sei genitore sai benissimo che è) un mito di autodistruzione che non giova né a te né a nessun altro.
Se invece ci permettiamo di essere onesti e scoprirci vulnerabili, affaticati, sospesi e anche un po’ confusi, possiamo permetterci finalmente di leccarci le ferite, di guardare negli occhi le persone intorno a noi, scoprirle in difficoltà e dirci: sì, stiamo messi male, possiamo concederci di essere più indulgenti del solito, di coccolarci e non giudicarci.

Uso spesso la metafora della mascherina sull’aereo: dicono che in caso di emergenza la deve indossare prima la madre, in modo che poi – salva – possa aiutare il figlio. Perché se la mamma per fare l’eroina mettesse la mascherina prima al figlio, rischierebbero di non farcela entrambi. Allora dico: mettiamoci la mascherina, proteggiamoci, salviamoci, prima di voler dare ancora di più.

Io sono la prima a non essermi fermata mai, ad aspettare che tutto riparta con grande ansia da prestazione, perché quando l’Italia ripartirà il Peromelo aprirà le sue porte come il nostro principale ed unico lavoro (e non ho per niente paura, eh, per niente!!)

Ma il Peromelo è nato per questo: per ricordarmi di rallentare e invitarti a fare altrettanto, per disegnare un mondo alternativo in cui vincono le cose belle e giuste, e non quelle veloci e da furbi.
Che non vince chi arriva prima, chi fa più punti, ma chi si è goduto il percorso.